Chalo! Il
15 maggio partiamo con l'aereo per New Dehli.
Siamo io Tomas e Silvestro Franchini e Luca Cornella con un progetto ambizioso e del quale non sapiamo molto, a parte il fatto che sia una parete di roccia difficile, ripida e lunga quasi 1000 metri, in un posto molto remoto dell'Himalaya a quasi 6000 metri di quota, ma questo ci basta per iniziare con entusiasmo la nostra avventura, nessuno l'ha mai scalata prima e nessuno può sapere quante possibilità abbiamo di avere successo.
Siamo io Tomas e Silvestro Franchini e Luca Cornella con un progetto ambizioso e del quale non sapiamo molto, a parte il fatto che sia una parete di roccia difficile, ripida e lunga quasi 1000 metri, in un posto molto remoto dell'Himalaya a quasi 6000 metri di quota, ma questo ci basta per iniziare con entusiasmo la nostra avventura, nessuno l'ha mai scalata prima e nessuno può sapere quante possibilità abbiamo di avere successo.
E'
la prima volta in queste terre per tutti noi ed ogni tappa è una
novità, a partire dalla logistica.
Dalla
capitale indiana in una notte intera di bus arriviamo a Manali, dove
formiamo il team; è composto da noi, Pritan il cuoco, Amit che lo
aiuterà, Bhagwan la guida e Tarachand l'ufficiale di collegamento
necessario per ottenere i permessi dall'Indian Mountaniering
Foundation. Da qui si parte con due pulmini scassati 4x4 che, carichi
di cibo, materiale vario e atrezzatura sui tetti, ci portano in due
lunghe giornate a Gulabghar lungo una strada insidiosa, a picco sul
fiume Chenab, che ci fa entrare in Kashmir. L'autista si rivela un
duro, capace di guidare per ore senza perdere mai l'attenzione e la
precisione sul volante, solo facendo qualche pausa per bere un chai e
mangiare qualcosa.
Ci
aspettano tre giorni di trekking con 18 muli per arrivare al campo
base con tutto passando per numerosi villaggi indù e buddhisti che
non hanno accesso stradale ma sembrano avere da sempre le risorse per
essere autosufficienti.
Dopo
tanti “namastè” e “julè” mettiamo le nostre tende sui
prati della piana di Bujvas a 3300 metri di altezza tra alcune
betulle. Da qui ci aspettano 1700 ripidi metri di dislivello per
arrivare alla base della parete che abbiamo intenzione di provare a
scalare, prima su prato poi tra i crepacci ed infine un canalone. Il
meteo sembra essere sempre stabile e caldo di giorno, in pochi giorni
portiamo quasi tutto il materiale alla base della parete su un colle
a 5000 metri che chiamiamo “Vedetta” lasciando 100 metri di corda
fissa per superare la terminale.
Tutto
è pronto, nel portare i carichi ci siamo un po' acclimatati, serve
solo aspettare tre giorni di tempo stabile per partire freschi dal
campo base. E' il 30 maggio, dopo 15 giorni dalla partenza, ci
avviamo decisi per attaccare la parete l'indomani. Il primo tentativo
non è molto fortunato, infatti Tomas sbatte la caviglia in un volo e
un grosso sasso ci schiva in tre e colpisce alla spalla Luca, su 4
corde due si sono tranciate e una è molto danneggiata. Siamo così
costretti alla ritirata. Quando arriviamo al campo “Vedetta” è
ormai buio da un ora ed il morale non è alto, siamo stanchi,
sconfitti e feriti non parliamo nemmeno di un altro tentativo.
Al
nostro risveglio qualcosa è cambiato, nello zaino mettiamo solo
quello che ci serve a scendere e lasciamo tutto il resto qui. Ci
serve ancora qualche giorno per ricaricare le energie del corpo e
della mente, per capire quanto forti sono state le botte prese e
ragionare sui rischi corsi, ci prendiamo una pausa.
Luca
ha ancora male, la sua decisione è di non salire di nuovo, noi tre
partiamo il 6 giugno per il secondo tentativo. Siamo in accordo su
una nuova strategia, su maggiore velocità e più attenzione, ma
l'entusiasmo ritornato viene messo a dura prova nel canale da una
scarica di ghiaccio e neve che colpisce questa volta Silvestro alla
spalla e me alla gamba, le previsioni meteo inoltre cambiano di
continuo, attacchiamo di nuovo. Nevica, raggiungiamo all'imbrunire il
primo punto di possibile bivacco incontrato in tutto il giorno: il
campo “Meringa” a 5500 metri, abbiamo solo una razione di cibo in
tre e solo un telo per ripararci dal freddo. La notte passa e si
riparte, fino in cima al pilastro poi giù, a ritroso nel vuoto di un
chilometro che ci separa dal campo “Vedetta”.
Ora
parliamo dei pericoli scampati, del ruolo della fortuna in una salita
di questo tipo in Himalaya, dello stile che abbiamo usato noi per
affrontarla...
Incredible, you leave me speechless,
RispondiEliminacongratulations
happy to share my emotions!
RispondiEliminagood World Day kiss to all !
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